Villa Contarini

Il complesso di Villa Contarini è uno dei più imponenti esempi di “villa veneta”, ovvero di un edificio concepito per rispondere alle esigenze specifiche del patriziato veneziano in un frangente storico in cui esso, con la costituzione dello Stato da Tera, aveva esteso in misura esponenziale i propri possedimenti terrieri nell’entroterra veneto e friulano.

In particolare le ville da un lato dovevano fungere da centri “amministrativi” ed organizzativi di questi vasti possedimenti (allo scopo pertanto era prevista la presenza di barchesse, magazzini, abitazioni per i contadini, stalle ed altri annessi rustici), dall’altro di prestigiosa sede di rappresentanza e di svago.

Ne consegue, stante la fissità dei requisiti, la ricorrenza di certi elementi tipici che in larga misura ritroviamo pure a Piazzola sul Brenta: le ville di norma sorgevano al centro dei possedimenti terrieri, spesso riadattando secondo i nuovi canoni architettonici - che  prevedevano la presenza di un imponente corpo centrale e di ampie ali - edifici preesistenti caduti in disuso (in genere castelli), erano dotate di vasto parco con fontane, labirinti e giochi d’acqua.

Ovviamente, al di là di questa tipizzazione, esistono delle peculiarità e Villa Contarini - al netto dei rifacimenti resisi necessari nel corso dei secoli - non fa eccezione.

Il primo nucleo della villa (quello che oggi risulta essere il corpo centrale) verosimilmente insisteva sul vecchio castello e, stando ai documenti d’archivio, è stato oggetto di lavori nella quarta decade del XVI secolo secondo un progetto che, probabilmente, è attribuibile ad un allora giovane Andrea Palladio.

Risalgono comunque al XVII secolo gli interventi che, secondo un nuovo progetto voluto da Marco Contarini (peraltro solo parzialmente portato a termine), renderanno la villa un unicum nel panorama delle ville venete: oltre alle imponenti ali, va infatti ricordata l’edificazione del corridore, un imponente corpo di fabbrica perpendicolare all’ala destra che si protendeva verso la piazza prospiciente. Quest’ultima, a sua volta, è caratterizzata dall’imponente emiciclo (le cd. “logge palladiane”) che la chiude, con ben 31 arcate, sul lato destro e che ospitava, al livello superiore, le foresterie; di qui gli ospiti potevano affacciarsi sulla piazza che, con tutta evidenza (specie qualora fosse stato portato a termine il progettato emiciclo sinistro), doveva fungere da imponente luogo di ricevimento per gli illustri ospiti e nel contempo da maestoso palcoscenico per le feste che si svolgevano in villa.

In effetti va sottolineato una volta di più come Villa Contarini sia inscindibile dalla piazza e dal complesso architettonico che si appoggia sulle logge; quest’ultimo, in passato, era ben diverso da come appare oggi, ospitando esso, oltre ai sopravvissuti Loco delle Vergini e Tempietto del Temanza (per i quali vedi sotto), il demolito Grande Teatro, il Piccolo Teatro, la chiesa della Musica (o chiesa di San Marco) nonché una stamperia ed opifici vari annessi.

Tornando alla villa, non possono infine non essere menzionati gli importanti lavori di restauro e di completamento portati avanti da Paolo Camerini negli anni venti del XX secolo ed al termine dei quali la Villa assunse la fisionomia come ci appare oggi; in particolare si procedette alla sistemazione dell’intera ala sinistra, che preservava ancora l’aspetto di barchessa con tetto a capanna e, sull’ala destra, all’abbattimento delle foresterie.

Tempietto del Temanza

Voluto da Paolina Contarini, prende il nome da Tommaso Temanza (1705-89), celebre architetto ed ingegnere veneziano al quale dobbiamo il progetto. Al tempietto, di chiara ispirazione palladiana, si accede attraverso una galleria di quasi 15 metri che funge da atrio; l’interno, cilindrico, si contraddistingue per la luminosità assicurata dai quattro piccoli archi finestrati e da altrettante finestre nonché per lo slancio verticale derivante dalla presenza di 16 semipilastri. Ad impreziosire il tempietto il piccolo abside e, su entrambi i lati, le due piccole sacrestie. Degna di nota, per finire, l’ingegnosa ed elegante pseudofacciata (con tanto di finta porta lignea) che caratterizza il lato nord, l’unico visibile dall’esterno.

Loco delle Vergini

Questa struttura, alla quale si può accedere dalla piazza attraverso una piccola galleria di recente apertura, era destinata ad ospitare il Collegio Femminile istituito da Marco Contarini per ospitarvi fanciulle orfane od in stato di necessità, le quali venivano avviate al canto, alla danza, al ricamo, etc. vale a dire ad attività propedeutiche alle feste che si svolgevano in villa ed in linea quindi con la concezione di quest’ultima come “luogo della musica”.

Architettonicamente il Loco delle Vergini riprende la forma del chiostro e risponde perfettamente dal punto di vista funzionale alle esigenze poc’anzi descritte: sui quattro lati affacciantisi sul cortile interno, al pianterreno così come in quelli superiori, si aprivano infatti tutti i laboratori di cui si è detto e che rappresentavano dunque il cuore “operativo” del complesso contariniano.

Stilisticamente il Loco si contraddistingue per la linearità delle forme (rinvenibile in particolare nel colonnato) e l’eleganza delle volte a crociera; ne risulta una struttura “pulita” nella quale spicca la pregevole scala (oggigiorno di proprietà privata) che conduceva al primo piano, impreziosita dal grande affresco raffigurante “Apollo e Diana che saettano i figli di Niobe”.

Ex Jutificio

Degna di nota anche l’intera area dell’ex Jutificio, edificio destinato alla produzione di juta costruito progressivamente a partire dall’ultimo decennio del XIX secolo nell’ambito dell’ambizioso “piano Camerini”. Quest’ultimo mirava a trasformare pienamente Piazzola sul Brenta da centro essenzialmente agricolo (benché sede di alcune attività protoindustriali, n.d.r.) a centro industriale, una “città ideale” del lavoro nella quale esigenze produttive ed attenzione alla qualità della vita dei cittadini / lavoratori dovevano procedere di pari passo.

Costruita con un impianto tipicamente razionalista, la fabbrica rimase produttiva sino al 1978, anno in cui l’attività cessò definitivamente; dopo questa data i numerosi edifici che costituivano il complesso andarono incontro ad un precoce decadimento che ha reso necessario, agli inizi di questo millennio, un profondo intervento di restauro con contestuale cambio di destinazione d’uso da industriale a residenziale e commerciale.

L’odierno jutificio si contraddistingue per le permanenze (quali la torre, l’imponente ciminiera, l’enorme sala filatura coperta, la piazza nella quale i materiali utilizzati rievocano il precedente uso industriale) e le novità (su tutte i nuovi edifici, le cui volumetrie geometriche ridefiniscono in chiave moderna il paesaggio cittadino). Piacevole, in questo senso, addentrarsi nell’area seguendo il percorso che costeggia la roggia la cui acqua, sino a pochi decenni fa, alimentava i macchinari dello stabilimento.

Duomo ed ex Casa del fascio

Un ulteriore punto di interesse è rappresentato dal duomo di Piazzola e dalla prospiciente ex Casa del Fascio.

Il duomo, caratterizzato esternamente dall’imponente facciata e dai pinnacoli neogotici, venne costruito tra il 1914 ed il 1926 ed aperto al culto nel 1926. Internamente sono degni di nota gli affreschi dell'Andreoli e del Castagna, le vetrate policrome ed in particolare gli arredi lignei, tra i quali spicca il pulpito realizzato da Luigi Strazzabosco. 

Di fronte al duomo, quasi a sancire il clima di concordia tra sfera civile e sfera religiosa tipica degli anni post-concordato, venne eretta sul finire degli anni Trenta – primissimi anni Quaranta, la Casa del Fascio. L’edificio, progettato dell’architetto Quirino De Giorgio, personaggio assai attivo nel padovano, riprende chiaramente i canoni dell’architettura fascista: razionalista / funzionalista nelle forme, tende talvolta ad eccedere nella monumentalità, come ben dimostrano le massicce colonne che caratterizzano il lato nord e, soprattutto, quello ovest. Trasformata in cinema parrocchiale nel secondo dopoguerra, anche l’ex Casa del Fascio è stata oggetto da parte dell’Amministrazione comunale di importanti lavori di restauro ed ospita attualmente la biblioteca – centro culturale “A. Mantegna”.

Villa Trieste

Villa Trieste sorge nella frazione di Vaccarino e prende il nome dall’omonima famiglia che l’aveva acquistata nel 1808 dal nobile casato veneziano dei Savonarola.

La villa, così come ci appare, è l’esito dei lavori di ristrutturazione voluti nel 1789 da Gaetano Savonarola; furono i Trieste, invece, a commissionare a Giuseppe Jappelli la realizzazione del bel giardino romantico, pertanto caratterizzato da spazi raccolti ed ombrosi, corsi d’acqua, statue, etc. in opposizione al modello di giardino all’inglese.

E che il legame con la natura sia uno dei tratti salienti di Villa Trieste è comprovato dal suo stesso orientamento, con la facciata principale rivolta verso il fiume Brenta e la zona del Tavello (area naturalistica riconosciuta come Sito di Interesse Comunitario) ed il retro verso il centro abitato, fattori che la rendono ideale punto di partenza per escursioni nella natura [LINK].

Villa Paccagnella

Villa Paccagnella, in località Isola Mantegna, è un altro mirabile esempio di villa veneta realizzata in puro stile palladiano al punto che, anche in questo caso, è stato ipotizzato l’intervento del celebre architetto vicentino perlomeno nelle fase progettuale od in quella dei primissimi lavori.

Molti elementi avvalorano questa tesi, ed in particolare la scalinata d’accesso, il frontone ed il timpano, che ricordano da vicino altre celebri realizzazioni palladiane.

Purtroppo l’edificio, già messo a dura prova durante la II Guerra Mondiale (ospitò un ospedale militare delle truppe tedesche, le quali ricoprirono di calce gran parte degli affreschi, n.d.r.), giace attualmente in pessime condizioni di conservazione, tali da aver indotto l’Istituto Regionale Ville Venete a sostituirsi al proprietario inadempiente realizzando lavori di messa in sicurezza.

Isola Mantegna

Una nota finale merita la frazione di Isola Mantegna (già Isola di Carturo); tale località, sul cui territorio sorgono la citata Villa Paccagnella e Villa Ramina (detta La Colombina), è infatti nota per avere dato i natali al famoso pittore Andrea Mantegna.

Le scarne fonti lo descrivono di umilissime origini; probabilmente per il tramite del fratello, sarto a Padova in contrada Santa Lucia, riuscì ad entrare nel laboratorio dello Squarcione, dove rimase per circa sei anni e nel quale svolse il suo apprendistato artistico. Il periodo di formazione padovano fu inoltre di fondamentale importanza in quanto gli permise di permearsi degli ideali umanistici allora in voga così come di aggiornarsi sulle ultime tendenze nazionali ed internazionali. Dopo la prima grande commissione, ottenuta per decorare la Cappella Ovetari presso la chiesa degli Eremitani di Padova, estese il raggio della propria attività all’intera penisola (Verona, Mantova, Roma), realizzando capolavori che l’hanno fatto entrare di diritto tra i grandi maestri della pittura rinascimentali.

Purtroppo ad Isola Mantegna nulla è rimasto della sua casa nativa e le numerose ipotesi fatte, che individuavano in questo o in quel sito il punto esatto di dove sorgeva l’abitazione in cui vide la luce il pittore, non sono supportate da sufficienti elementi di prova.